Firenze, Allegri chiude dopo mezzo secolo licenziamento per 61 lavoratori




disoccupazione-bloombergCome nella peggiore delle tragedie greche, il destino dell’Allegri si rivela peggiore di quanto annunciato. L’azienda, nell’incontro che ha avuto ieri presso l’unità di crisi della Città metropolitana, ha chiuso le porte ad ogni ipotesi in campo: stabilimento chiuso e richiesta di mobilità per tutti e 61 i dipendenti già da oggi.
Uno schiaffo in faccia prima di tutto ai lavoratori, a cui solo tre anni fa era stato prospettato un futuro ben diverso con la volontà di investire sulla produzione di abbigliamento “made in Vinci”. Ma la proprietà (passata alla fine del 2011 nelle mani dei coreani della Lg Fashion Corporation, che tramite la Polaris srl avevano rilevato le quote – il 60% -della Dismi 92 spa) lo schiaffo lo ha tirato in faccia anche alle istituzioni e alle parti sociali che in questi mesi difficili avevano messo il loro impegno per riuscire almeno a salvare il salvabile. Basti pensare che l’annuncio della chiusura, che con ogni probabilità prelude al trasferimento dell’attività a Milano dove opera la sorella Polaris spa, arriva a cassa integrazione straordinaria per crisi aperta. Nel novembre scorso, infatti, l’azienda aveva chiesto l’ammortizzatore sociale per i dipendenti, il quale sarebbe dovuto terminare all’inizio di novembre prossimo. Adesso, a più di tre mesi dalla fine della cassa, viene annunciata la richiesta di mobilità. «Una scorrettezza – attacca Silvia Mozzorecchi che da anni segue l’azienda come responsabile della Filctem Cgil di zona – che si somma ad un comportamento gravissimo. Dopo gli annunci al miele, subito dopo l’acquisizione del marchio da parte della proprietà coreana, la situazione è andata via via peggiorando. Negli ultimi mesi la direzione aveva annunciato delle difficoltà legate ad un calo di fatturato. Ma calo non significa crollo e quindi non si può giustificare così la chiusura di uno stabilimento storico e il licenziamento di oltre 60 dipendenti». Quello di ieri era il quarto incontro presso l’unità di crisi della Città metropolitana. Nel frattempo al tavolo aveva preso parte anche la Regione, che si era impegnata a dare un supporto concreto all’azienda se avesse deciso di mantenere l’attività sul territorio. Impegno respinto al mittente. «L’atteggiamento aziendale è gravissimo di fronte ad una situazione in cui c’erano margini per una soluzione positiva – attaccano in una nota la Città metropolitana di Firenze e Comune di Vinci – la decisione della direzione ha di fatto impedito anche di entrare nel merito di eventuali strumenti della Regione finalizzati a sostenere l’ipotesi alternativa di cui si era discusso al tavolo di crisi. Cioè di mantenere un’unità locale prettamente commerciale che occupasse un numero inferiore di addetti. Adesso non abbandoneremo i lavoratori, mettendo in campo tutti gli strumenti in nostro possesso legati ai servizi per l’impiego, ma consapevoli che il reinserimento lavorativo sarà difficile». L’apertura nei confronti di un’ipotesi che contemplasse il mantenimento di solo una parte dei posti c’era stata anche da parte del sindacato. Nessun paletto, dunque, a patto che ci fosse un impegno da parte dell’azienda. «Già a febbraio scorso, quando annunciarono che avrebbero mantenuto un presidio di 10-15 lavoratori sul territorio – continua Mozzorecchi – la cosa ci pareva improbabile. Tuttavia, abbiamo fatto di tutto perché anche una parte dei posti venisse mantenuta. Ma non c’è stato niente da fare. Al momento stiamo attendendo di capire anche cosa accadrà ai 2 dipendenti dell’outlet: ci hanno detto che hanno contatti con imprenditori locali per aprire un franchising. L’unica eccezione riguarderebbe due lavoratori che l’azienda vorrebbe lasciare per gestire un ufficio territoriale, ma ci sembra più una beffa che altro». Al netto della delusione e della rabbia di istituzioni e sindacati, tuttavia, ciò che rimane è un numero importante di lavoratori senza più certezze.
Alte professionalità disperse, un fiore all’occhiello per il territorio inesorabilmente perso e forse anche qualcosa in più: la consapevolezza che di fronte alle esigenze aziendali di bilancio, politica e parti sociali possano contare solo su armi spuntate.




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